Il campo di Libera a Lecco
L'ora delle voci coraggiose

Continua l'esperienza di ragazzi e volontari accorsi a Lecco. Ecco la testimonianza diretta di una delle protagoniste

Verità e giustizia. Voci coraggiose che ci chiedono di non dimenticare, che ci raccontano storie che non fanno rumore, ma cuori che urlano per sapere perché, perché delle vite sono state spezzate.
L'incontro di ieri sera, nella sede Agesci di Lecco, con alcuni famigliari vittime innocenti di mafia, ci ha trasmesso la forza e il coraggio di chi deve lottare tutti i giorni non solo con il proprio dolore, ma per ottenere giustizia.
La storia di Marcella e la storia di Pietro. Due storie diverse, due vite diverse, ma entrambe spezzate dalla prepotenza e dalla violenza di chi calpesta gli altri, di chi non ha rispetto pur di ottenere ciò che vuole.
Marcella era una ragazza neanche trentenne, assassinata in un bosco, uccisa da una società che emargina invece di accogliere. Cresciuta in un paesino della Puglia, era rimasta intrappolata nel giro della droga, allontanata da chi avrebbe dovuto aiutarla: la scuola, le istituzioni, la famiglia. Aveva trovato il coraggio di parlare e di denunciare, di raccontare tutto quello che aveva visto, di fare nomi e cognomi. Ha pagato un prezzo troppo alto, chi si ribella deve pagare, deve essere un ammonimento per tutti.
Per anni Marisa, la madre di Marcella, ha tenuto per sé il suo dolore, un lutto vissuto nel silenzio perché tutti ne avevano vergogna, preferivano dimenticare. Ma una madre non può dimenticare. E in questo percorso ha incontrato Libera, Associazione nomi e numeri contro le mafie, e ha incontrato persone che avevano voglia di ascoltarla, di ascoltare la storia di sua figlia e di condividere il peso del suo dolore.
Pietro era un commerciante, un padre presente e un marito premuroso, un gran lavoratore. Un uomo che dedicava la maggior parte del suo tempo a difendere i diritti dei lavoratori, era il presidente della Confesercenti, il sindacato dei commercianti. Una mattina come tante, era alla guida del suo furgoncino insieme al figlio per iniziare un'altra giornata di lavoro. Il suo impegno da sindacalista doveva aver infastidito più di qualcuno. Un colpo di lupara in fronte ha voluto fermarlo, azzittirlo. Ma Lorenzo, il figlio, è diventato la sua voce e da anni continua a chiedere che sia fatta giustizia, che vengano trovati i colpevoli.
Parole le loro, quelle di Marisa e di Lorenzo, che sono entrate, penetrate nei nostri cuori e che abbiamo deciso di fare nostre. Ora sappiamo cosa voglia dire memoria, stare vicino ai famigliari vittime innocenti delle mafie: farci carico di un pezzettino di dolore, provare ad alleggerire la loro sofferenza e non dimenticare.

Rosanna Picoco

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