Risse, balordi e violenza questa città non è sicura

Non saremo la Terra dei fuochi, ma la brace che cova sotto la cenere è di sicuro pericolosa, quando non incandescente. E la criminalità, anche piccola, è tossica. Episodi recenti confermano che la violenza, a Lecco, non è più sporadica, ma è un fenomeno che reclama interventi organici, che vadano oltre il solo cerotto e le immancabili litanie. Nell’ultimo mese abbiamo contato due o tre risse intorno alla stazione, ma io ancora penso a qualche anno fa, a quell’uomo scappato dalla Psichiatria che nel sottopasso della stazione con un pugno alla tempia rischiava di mandare al creatore una donna che passava di lì. Lo dico senza mezzi termini: non avrei esitato a sparargli nelle gambe per fermarlo, se mi fossi trovato lì con un fucile e in particolare se la vittima fosse stata una persona a me cara, e nonostante abbia con le armi la stessa dimestichezza che ho manifestato al volante, per la quale faticavo a trovare un assicuratore.

Perché, vedete, per un fatto come questo che conquista i titoloni della cronaca, ci sono almeno altre dieci o venti situazioni a rischio. Sono lì, in silenzio. Come la brace, appunto.

Vi pare possibile che un anziano, o una donna con un bambino, o un gruppo di ragazze, dovendo risalire la città dal lungolago alla stazione, si trovi in pieno giorno a incontrare scenari da far accapponare la pelle, maledicendo l’istante nel quale si è scelto di uscire di casa? L’altro giorno, passeggiando in alto a via Cavour, mi sono imbattuto in un gruppo di oltre una decina di giovanotti, con facce da far spavento ai più noti gangster movie americani, bottiglie di birra in bella vista e un aroma non certo di tabacco che avvolgeva il portico che sale verso il Vallo. Come se non bastasse, l’edificante quadretto era completato da un cane senza la minima traccia di guinzaglio (non ho spiccata conoscenza delle razze, ma non era un chihuahua) e da una cantilena metallica spacciata per musica che usciva a tutto volume da non si sa quale aggeggio. Ho girato al largo, ma deviando verso il Comune la solfa non è cambiata. Stesse facce, stesse birre, stesso aroma. Sia dal lato delle fermate dei bus, sia della piazza. Mi sono domandato se, affacciandosi dalla finestra del municipio dal quale garrisce solenne la bandiera lecchese e il tricolore, il sindaco Gattinoni possa vedere un simile spettacolo quotidiano. Io me ne vergognerei, ma forse l’ufficio del sindaco dà sul cortile interno di Palazzo Bovara, dove tutto è quieto e non si alza il filo di una lamentela.

Per carità, lungi da me addossare al Comune ogni responsabilità sul fronte della sicurezza urbana. So bene che esistono specifici tavoli sul tema (nonostante le parole tavolo e soluzione non coincidano quasi mai nella politica locale), ma vorrei anche che si smettesse di parlare astrattamente di disagio giovanile, di fenomeni sociali, di gestioni dell’immigrazione, e si cominciasse invece a prendere consapevolezza che questa città ha un problema puro e semplice di balordi, di spacciatori, di gentaglia che si diverte a fare dentro e fuori dalle aule delle direttissime dei Tribunali, quando non dalla galera. Vorrei che i lecchesi potessero svoltare un angolo in penombra, o aggirare un edificio fatiscente senza temere di finire in mezzo a risse e bottigliate. Vorrei che un tamponamento dall’altra parte della città non fosse sufficiente a esaurire la disponibilità di volanti dei “ghisa” per gli episodi che richiedono non solo interventi, ma anche e soprattutto presidi fissi.

Chiedo troppo? Se chiedo troppo, almeno che qualcuno, coerentemente, si alzi e dica, caro Calvetti pensavi di vivere a Lecco e invece sei finito a Quarto Oggiaro. Io lo so, e chiederò lumi su dove poter acquistare il mio spray al peperoncino per uso difensivo.

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