Il bestiario locale di cani e pet planner

immagine più cruenta della mia infanzia risale alle 16 di un pomeriggio di primavera, quando, rientrando da scuola (ero in seconda elementare), mi imbattei nelle urla di un “domatore” di cani che operava in un’area recintata al primo piano di casa mia: era stato appena azzannato da un lupo che provava ad ammaestrare su incarico di una famiglia della borghesia lecchese. Sangue sulle scale e, seppi poi, decine di punti di sutura. È forse da quell’orribile frammento che è maturata la mia diffidenza per gli animali, in specie cani e gatti. Di tigri e cobra non ho mai avuto occasione di occuparmi, neppure nei documentari esotici.

Al punto che una volta, un presidente di Confcomercio, famoso per il suo linguaggio da bestiario, mi disse che la mia cultura poco valeva, se non ero mai stato in «Tarzania a vedere le belve allo stato ebraico» (ipse dixit). Insomma, i fantasmagorici eserciti dei padroni di barboncini con maglioncino in cachemire e crocchette al retrogusto di Franciacorta mi perdoneranno se ricordo loro una piccola, scomoda verità. Loro sono animali, noi siamo umani. Ed è forse bene che i quadrupedi facciano i quadrupedi, e noialtri ci si ricordi di essere in fondo i padroni di bestiole che, per quanto addolcite nello sguardo, si esprimono pur sempre a suon di morsi, graffi e guaiti. Il pericolo, al contrario, è quello di esporre gli umani (specialmente i più piccoli, attratti da quei batuffoli di pelo trattati da mirabolanti shampoo e algide estetiste) a inutili pericoli. E, non secondario, ad apparire più ridicoli dei nostri accompagnatori a quattro zampe.

A confermarmi che in questa dialettica uomo-animale non ci sia limite alla fantasia e alla confusione dei ruoli, ha provveduto la notizia di una pet planner locale. La donna, alla quale va ovviamente tutta la mia stima per aver pescato la sua fonte di reddito dal mazzo delle professioni ancora inesplorate, si è concessa alle telecamere di Unica Tv proprio dinanzi al proscenio privilegiato della sua offerta commerciale: due enormi arcobaleni circondati da orme di cagnetti, conducono lo sguardo dell’ignaro avventore fino ai due candelabri che affiancano il portafoto dal quale fa tragica mostra di sè l’immagine dell’animale prematuramente scomparso. Poco sopra, pure l’effigie di una Sacra Famiglia.

Ora, io non ho la pretesa di pontificare e di insegnare la verità, figurarsi la decenza. Ma, francamente, mi sento di dire che a questo punto abbiamo un problema piuttosto serio. Delle due l’una. O ci si è dimenticati dell’adagio di scherzare con i fanti (in questo caso, meglio i cavalli) e lasciar stare i santi. Oppure, e ho il timore che sia il caso in questione, non c’è proprio nessuno scherzo. A rafforzarmi nella convinzione che si stia prendendo la cosa un po’ troppo sul serio, c’è il tariffario. Un funerale completo, compresa la cremazione, costa 1.300 euro, un compleanno da 550 fino a 800 euro con anche il pagamento dei diritti Siae per la musica, la celebrazione con rito sul ponte arcobaleno 140 euro. Insomma, la cosa assume i tratti di una tragica inversione delle priorità. Si fa il funerale ai cani, e magari ci si scorda per anni di telefonare a un parente. Si compra il maglioncino al quadrupede, e forse si tira dritti con lo sguardo all’esodo biblico che riempie ormai senza posa le mense Caritas e gli empori che in parecchi capoluoghi offrono vestiti e coperte ai cosiddetti “invisibili”.

La loro colpa? Probabilmente quella di deambulare su due soli piedi. In sostanza ci tengo a precisare che il mio rispetto per gli animali non è da meno di chi invece prova amore sviscerato e si sente mamma, papà, nonno del proprio cane e non esita a chiamarlo con nomi da cristiano. Quel che mi preme è la distinzione dei ruoli, che è anche la ragione per la quale non mi diverte il circo, il luogo dove le bestie imitano gli uomini. E viceversa. 

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