Tre comaschi nel caso Pantani
«Marco non parlava,
ecco la nostra verità»

Medici del Sant’Anna di Como effettuarono il test sul sangue che portò all’esclusione del ciclista dal Giro del ’99. «L’inchiesta ci tira in ballo di nuovo ma senza motivo. Marco in camera non parlava, ecco cosa accadde». Su “La Provincia” di domenica 19 ottobre la seconda puntata della nostra inchiesta

Quindici anni dopo, una nuova inchiesta sul sangue di Marco Pantani. Quel sangue che i medici del Sant’Anna prelevarono alle sette del mattino dal braccio del “Pirata”, nella sua camera d’albergo, per poi analizzarlo. Siamo a Madonna di Campiglio ed è il 5 giugno 1999, mancano due tappe alla conclusione del Giro d’Italia. Il test effettuato dagli esperti dell’ospedale comasco rivela che i valori di ematocrito sono troppo alti, superano il tetto massimo. E così per Pantani scatta la sospensione immediata dalla corsa: l’inizio della fine.

Adesso la procura di Forlì torna ad accendere i riflettori su quanto accadde quel giorno, complici nuove rivelazioni. Spunta addirittura la camorra, che avrebbe alterato le analisi di Pantani per far soldi con un giro di scommesse clandestine. Tesi accreditata dal “bel René”, al secolo Renato Vallanzasca, che in passato parlò - e oggi torna a farlo - di un detenuto che proprio durante il Giro del ’99, in carcere gli consigliò di scommettere sul vincitore della corsa e disse: «Sicuramente non sarà Pantani».

Ieri i medici comaschi protagonisti - loro malgrado - della vicenda hanno accettato di raccontarci cosa avvenne, esattamente, il 5 giugno di quindici anni fa. Non prima di aver definito «un incubo» la notizia della nuova indagine. Finirono già in quella aperta dalla procura di Trento e ne uscirono a testa alta, speravano di essersi lasciati alle spalle quella storiaccia con annesse accuse e veleni. Ma non è così. Due dei professionisti che si occuparono del test sul sangue lavorano ancora al Sant’Anna: Eugenio Sala guida la la struttura di Microbiologia, il collega Michelarcangelo Partenope è il responsabile dell’Ematologia. Il terzo, Mario Spinelli, è in pensione. «Innanzitutto non si trattava di esami antidoping ma di controlli a tutela della salute degli atleti, stabiliti dall’Unione ciclistica - spiegano Sala e Partenope - Quella mattina entrammo nella stanza di Pantani e prelevammo 2,7 cc di sangue. La provetta venne messa nella borsa che si usava per i campioni, come stabilivano le regole. Mente chi dice che fu trasportata nella tasca della giacca, è una cosa che non faremmo nemmeno per la provetta di un familiare».

«Ricordo che Marco mi chiese di non applicargli al braccio il laccio che si usa durante il prelievo - nota Partenope - ma per il resto non disse una sola parola. Gli abbiamo chiesto l’autografo e lo conserviamo gelosamente, per noi era una festa, invece è diventato un incubo che dura da 15 anni...».

«Lo strumento usato per l’analisi del campione era quello richiesto dall’Unione ciclistica, un analizzatore che esegue l’esame “emocromocitometrico”. La sera prima il test fatto da Pantani dava un esito diverso? Lui utilizzò una microcentrifuga: misura l’ematocrito ma può essere in parte diverso. Portammo il referto finale con l’esito al direttore sportivo Giuseppe Martinelli e al medico sociale Roberto Rempi, il valore era al di sopra del consentito e le norme imponevano lo stop all’atleta».

Gli specialisti non erano certo alla prima esperienza: «Abbiamo fatto analisi al Giro, al Tour de France, alla Vuelta, ai campionati mondiali, tutto in virtù di una convenzione tra l’Unione ciclistica e il Sant’Anna. Non solo, nel ’99 la nostra equipe aveva già fatto l’esame a Pantani alla partenza, ad Agrigento, poi una seconda volta a metà del Giro».

Per ora i tre non sono stati convocati dai magistrati di Forlì, ma temono che accadrà. «Già all’epoca, il pomeriggio stesso i carabinieri mandati dalla procura di Trento arrivarono in elicottero al vecchio Sant’Anna e sequestrarono l’apparecchio che avevamo utilizzato. Siamo stati indagati per truffa aggravata, poi la perizia fatta a Parma confermò la bontà e la correttezza del nostro lavoro. Venne eseguito anche il test del Dna e dimostrò che quel sangue era davvero di Pantani».

«Quel periodo - aggiungono - è stato molto duro, vedere che a distanza di quindici anni si torna a mettere in discussione l’operato di professionisti lascia grande amarezza. Speravamo di non dover rivivere certe situazioni».n

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