Terrorista ucciso, quanti interrogativi
«Perché è tornato in Italia?»

Dopo la morte dell’uomo che ha insanguinato Berlino, ci sono una serie di domande ancora senza risposta, soprattutto su possibili appoggi o obiettivi nel nostro Paese

Da Chambery al piazzale della stazione di Sesto San Giovanni in dieci ore, le ultime della sua vita: la morte di Anis Amri, se da un lato chiude la caccia all’uomo più ricercato d’Europa, dall’altro apre una serie di domande che soltanto nelle prossime ore potranno, forse, trovare risposta. Come ha fatto ad attraversare l’Europa senza essere riconosciuto da nessuno? Cosa veniva a fare in Italia? Quale era la sua meta finale? Aveva appoggi nel nostro paese o cercava documenti falsi che gli consentissero di abbandonare l’Europa? Oppure era tornato in Italia per vendicarsi degli anni passati in prigione? L’ultimo viaggio del terrorista che ha fatto strage a Berlino inizia nella stazione di Chambery, cittadina francese ai piedi della Alpi dove Amri è arrivato proveniente dalla Germania.

Senza documenti, senza libri o testi scritti, senza telefono, con pochi soldi e pochissimi effetti personali. Ma con una pistola in tasca. «Era come un fantasma», dirà poi il questore di Milano Antonio De Iesu. A Chambery il tunisino sale su un treno diretto in Italia e arriva a Torino attorno alle 20.30.

Gli investigatori ritengono che l’uomo, dopo aver varcato il confine, abbia preso dei treni locali con i quali ha raggiunto la stazione di Porta Nuova. Qui Amri rimane tre ore circa e, secondo chi indaga, non avrebbe avuto contatti con alcuno. La Digos ha in ogni caso già acquisito le immagini delle telecamere di sicurezza per cercare di ricostruire i suoi spostamenti e verificare eventuali incontri.

Quel che è certo è che Anis arriva in stazione Centrale, a Milano, attorno all’una di notte e poi, secondo alcune fonti con un bus navetta che sostituisce il servizio della metropolitana, a quell’ora chiusa, raggiunge Sesto San Giovanni. Anche i filmati delle telecamere delle due stazioni sono già stati acquisiti e saranno analizzati. Sono ormai passate le 3 di notte: Anis si incammina con le mani in tasca e lo zainetto sulle spalle. A meno di 300 metri dalla stazione incrocia la volante della Polizia. Gli agenti gli chiedono i documenti e lui reagisce, estraendo l’arma. E’ il suo ultimo atto: viene raggiunto da due colpi di pistola, uno dei quali mortale.

Appena le impronte digitali hanno confermato l’identità, sono scattate le indagini per capire cosa ci facesse Amri a Sesto.

Una prima risposta potrà arrivare dal telefonino, ritrovato nel camion utilizzato per compiere la strage e già da due giorni in mano agli investigatori della Bka tedesca. Tra gli effetti personali del tunisino, inoltre, ci sarebbe anche una scheda sim. Si dovrà verificare se tra i contatti e le chiamate in entrata o in uscita vi siano delle utenze che rimandano all’ Italia. Oppure se quella scheda sia stata utilizzata per contattare persone all’estero. E’ plausibile che nei quattro anni trascorsi nelle carceri siciliane, Amri abbia stabilito dei contatti che possano essergli tornati utili in questa occasione. Sesto San Giovanni, tra l’altro, è un centro con una forte presenza di migranti di origine maghrebina e dunque non è escluso che cercasse qualcuno che lo ospitasse per qualche tempo in modo da far perdere le sue tracce e far abbassare l’attenzione nei suoi confronti.

Le ipotesi sul tavolo di intelligence e antiterrorismo sono comunque diverse. Una è che Amri fosse a Milano per reperire dei documenti falsi: Sesto San Giovanni si trova a meno di 5 chilometri da via Padova, zona dove è presente una moschea è dove, soprattutto, indagini passate hanno rilevato la presenza di centrali per la fabbricazione di documenti falsi. In Germania Amri era stato fermato la prima volta con un falso documento italiano e alle autorità ha fornito almeno una decina di alias: l’obiettivo poteva dunque essere quello di ottenere una nuova identità per lasciare l’Europa. Un’ulteriore ipotesi da verificare è che il tunisino avesse scelto Sesto perché dalla stazione partono decine di pullman internazionali, con destinazione soprattutto i paesi dell’Est. Un modo per uscire dall’Ue e avvicinarsi ai territori ancora in mano all’Is.

Ma c’è un’altra possibilità, che gli investigatori non tralasciano: Amri è arrivato a Milano perché con il nostro paese aveva un conto in sospeso. In Italia ha passato 4 anni in carcere e un paio di mesi nei Cie, maturando probabilmente sentimenti di rivalsa e di rabbia. Visto in quest’ottica, il suo piano era perfetto: il testamento in cui invita i fratelli a colpire, la strage al mercatino, il viaggio solitario fino in Italia e l’ultimo gesto eclatante nel nostro paese. Sulla sua strada, però, ha trovato una volante della Polizia.

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