«Il Dna trovato sul corpo di Yara
può averlo portato solo Bossetti»

La relazione conclusiva del Tribunale del Riesame spiega perchè il presunto omicida di Yara Gambirasio dovrà restare in carcere. I difensori valutano il ricorso in Cassazione

Non si può discutere il fatto che il Dna trovato sul corpo di Yara sia di Massimo Bossetti e “la complessa attività” svolta dal Ris dei carabinieri è “perfettamente valida”, così come di questa attività “restano utilizzabili integralmente gli esiti”, raccolti nella relazione conclusiva.

Respingendo la richiesta di scarcerazione di Massimo Bossetti, arrestato per l’omicidio di Yara Gambirasio, i giudici del Tribunale del Riesame di Brescia spiegano che un “eventuale problema” di irripetibilità di accertamenti tecnici “per distruzione di reperti” “non è rilevante” in questa fase cautelare ma “potrà essere fatto valere solo nell’eventuale fase dibattimentale”. Considerata, sottolineano “la piena regolarità degli esami e l’utilizzabilità di questa attività”. Nessuno spazio per ipotizzare che il Dna del muratore si sia depositato “senza un suo intervento personale”, mentre è “inverosimile” che qualcuno, come ventilato da Bossetti, possa aver posto sul corpo di Yara del suo sangue .

Gli altri elementi portati dalla Procura di Bergamo (la presenza di polveri di materiale edile sul corpo e l’analisi dei tabulati dei telefoni di Bossetti e di Yara) sono invece “di scarsa pregnanza” e possono “tutt’al più assumere un generico

significato di conferma dell’elemento principale”, appunto il Dna. La presenza di polveri di materiale edile sul corpo, forse provenienti dal cantiere di Mapello, non è infatti “individualizzante” per Bossetti perché, scrivono, “Yara Gambirasio poteva esservi stata condotta da chiunque, anche da chi non svolgeva lavori edili”.

Dati “neutrali”, che “potrebbero aver valore per ricostruire la dinamica degli eventi ma che sono poco significativi per istituire una relazione univoca con Bossetti solo perché lavora come muratore”. Professione “in astratto compatibile” con l’origine di quei materiali, ma non si può affermare che l’indagato ne fosse la fonte, “anche perché non è stato dimostrato che in quel periodo li maneggiasse, ben potendo essere stato impegnato in lavorazioni che non li richiedevano”.

Il collegio applica un ragionamento simile all’aggancio della cella di Mapello del telefono di Bossetti alle 17.45 del 26 novembre del 2010, quando Yara sparì dalla palestra di Brembate. “Sminuiscono grandemente la valenza dell’indizio - scrive il Riesame - per un verso la non minimale discrasia temporale (oltre un’ora) rispetto alla dimostrata presenza nella zona di Yara Gambirasio (che riceveva un sms alle h.18.49), per un altro verso l’ampiezza della zona di copertura della cella radiomobile, per altro verso ancora il riscontro che l’ abitazione familiare di Bossetti che si trova nell’area servita dalla cella”. Il fatto che il muratore abbia ammesso negli interrogatori di essere passato quel pomeriggio davanti alla palestra “spiega in modo plausibile” la sua telefonata “in zona Mapello alle 17.45 e ne svilisce la portata accusatoria”.

A questo punto gli avvocati difensori di Bossetti valuteranno il ricorso in Cassazione.

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